La salsa di soia nasce originariamente in Cina, nazione in cui le salse fermentate sono note fin dall’antichità, dalla dinastia Zhou.
Fu introdotta in Giappone alla fine del VII secolo ad opera dei monaci buddhisti, che utilizzavano la salsa di soia per conferire ai cibi un certo aroma di carne, considerando che la carne e il pesce sono vietati dai precetti buddhisti.
La salsa di soia comparve per la prima volta in Europa grazie ai missionari alla corte di Luigi XV.
Sebbene esistano molti tipi di salsa di soia, tutte consistono in un liquido di colore bruno e dal gusto terroso e salato, utilizzato come condimento direttamente sul cibo in cottura o servito a parte per essere aggiunto sul cibo già cotto o crudo.
Il tipico gusto della salsa di soia viene definito in lingua giapponese “umami” ed è in parte dovuto al contenuto naturale di glutammato monosodico.
Per essere naturale deve essere ottenuta per lunga fermentazione, senza aggiunta di zucchero e conservanti e non deve essere pastorizzata.
La salsa di soia può essere utilizzata sia in purezza, oppure aggiunta ad altri condimenti come aceto, succo di agrumi, zenzero, olio e sesamo. Uno degli usi della salsa di soia può essere il condimento di carne, pesce, pasta, sushi, sashimi, tofu oppure per preparazioni di marinature, per salse atte a condire insalate; come ingrediente di cottura, per la preparazione di zuppe, minestre e ragù; come base o componente per altre salse più particolari (teriyaki, kabayaki, ecc.) alle quali dona un gusto più piacevole.
La salsa di soia può essere utilizzata anche con i dessert. Abbinata a una crema al cioccolato, per esempio, crea un insolito contrasto di sapori, esaltandone la dolcezza.
Le salse di soia giapponesi sono ritenute più pregiate rispetto a quelle cinesi.
Tra i tanti tipi di salsa di soia, ne esistono due principali:
– Lo Shoyu: molto usata nella cucina giapponese, che prevede anche l’aggiunta del frumento ed è più economica
– Il Tamari: tipica invece della cucina cinese, senza frumento, più densa e particolarmente salata.
Entrambe subiscono un processo di fermentazione naturale che dura 12-18 mesi, e si usano per insalate, verdure stufate, cereali, brodo, zuppe.
Si può fare inoltre un’ulteriore classificazione più specifica:
– La salsa di soia chiara è meno densa, viene principalmente utilizzata come condimento da aggiungere a piatti già cucinati. Possiede una colorazione meno marcata, è più salata e saporita e da meno colore alle pietanze.
– La salsa di soia scura è invece quella più diffusa da noi. La sua colorazione è dovuta a un invecchiamento più prolungato e all’aggiunta della melassa.
Viene principalmente aggiunta ai cibi in cottura ed è leggermente più dolce.
Le salse di soia giapponesi utilizzano il grano come ingrediente principale: questo tende a conferire loro un gusto leggermente più dolce rispetto alle salse cinesi; hanno anche un gusto lievemente alcolico simile all’aroma di sherry.
Tra le qualità nutritive della salsa spiccano un contenuto di antiossidanti 10 volte maggiore rispetto a quello del vino rosso e importanti proprietà digestive. Di contro, è meglio non esagere con l’uso a causa dell’alto contenuto di sale e glutammato che la rendono sconsigliabile in diete povere di sodio.